Questo è un post che tengo in stand by da tanto tempo, è un post di quelli faticosi che scrivi, cancelli, riscrivi, correggi, archivi, riprendi. Questo è un post che mi riguarda da vicino, che parla una difficoltà che ha portato mille pensieri, preoccupazioni, sollievi e ricadute.
Questo è un post dedicato a tutti quei bambini che hanno difficoltà a scuola e alle famiglie che non sanno come aiutarli.
Questo è un post che non volevo scrivere perché, chi mi conosce bene lo sa, parlare delle cose importanti private per me è molto difficile, soprattutto quando riguardano le mie figlie, ma ho sentito il dovere morale di farlo: se ci fosse anche solo un bambino nella stessa situazione che può essere aiutato da quello che scriverò ne sarà valsa la pena!
Tre anni fa è cominciata la nostra avventura nel mondo della scuola primaria: Linda ha iniziato la prima elementare con molta paura e altrettanta curiosità, noi l’abbiamo osservata mentre muoveva i primi passi nella nuova aula, con i nuovi compagni e le maestre sicuri che sarebbe andato tutto bene, perché in cuor nostro lo sapevamo che sia io che mio marito, diciamocelo, siamo stati sempre sufficientemente secchioni. Non abbiamo mai avuto difficoltà a scuola, siamo sempre stati tra quelli bravi, i compiti non sono stati mai un peso e l’istruzione è sempre stata vista solo come un piacere. Come poteva essere diversamente per nostra figlia?!
Come potete immaginare, non è stato così. Linda sembrava camminare su un sottilissimo filo che la faceva oscillare sopra e sotto i buoni risultati con giornate in cui sembrava che tutto andasse bene e altre in cui sembrava che tutto fosse un disastro.
Io la vedevo arrancare dietro difficoltà che non capivo neanche come potessero essere tali: è così difficile mettere delle lettere una dietro all’altra? Come è possibile che le sillabe lette e ripetute cento volte continuavano ad intrecciarsi?
Lei reagiva con un fiume di lacrime ad ogni compito svolto e io più mi ripromettevo di mantenere la calma più facevo il contrario. Sapevo benissimo che il suo pianto era la reazione ad una difficoltà, lo fa sempre per qualsiasi cosa, le diciamo sempre che ha le lacrime in tasca, pronte per qualsiasi evenienza, ma sotto sotto sentivo che qualcosa non tornava.
Le insegnanti si erano accorte delle difficoltà di Linda ma non riuscivano ad inquadrare bene la situazione: non c’erano segnali specifici di un disturbo dell’apprendimento, ma notavano l’affaticamento eccessivo, la poca capacità di concentrazione e di organizzazione del lavoro.
Io, nel frattempo, ho cercato di seguirla il più possibile durante i compiti a casa, ma sentivo di non essere efficace, di non aiutarla nel modo migliore. Nel mentre, ovviamente, ho dovuto “affrontare” anche tutti quelli (e anche una parte di me) che mi dicevano che forse il problema era solo mio, che la dovevo lasciar stare, che forse pretendevo troppo, che non tutti sono numeri uno a scuola. Parliamoci chiaro: a me dei voti non frega proprio assolutamente niente, penso che oramai sia sufficientemente chiaro, figuriamoci di tutto il resto! Qualcuno ha tentato di convincermi anche che il problema stava solo nell’idea che avevo io di come sarebbero state le mie figlie a scuola e per un attimo ci ho pure pensato seriamente, poi mi sono detta “Ma sai che c’è? Io seguo il mio istinto e andatevene tutti quanti a….”.
Arriva la seconda elementare e l’andamento è sempre altalenante: a momenti sembra che tutto vada bene e a momenti sembra che non ci siamo proprio. I risultati scolastici migliorano, ma Linda si stanca molto, forse troppo.
Nel frattempo io faccio mille ragionamenti: ripenso a tutto quello che ho imparato all’università durante le lezioni e mi ritornano in mente alcune frasi del prof. Stella che mi martellano il cervello “Imparare a leggere e scrivere è un compito facile per l’uomo, se così non è, bisogna indagare, trovare strategie alternative”, “Un bambino demotivato a scuola, uno che salta sui banchi, nel 99% dei casi è un bambino in difficoltà che non sa come chiedere aiuto”.
Io lo so, l’ho sempre saputo, che imparare è una cosa bella per un bambino e in generale per l’uomo: ci insegnano che fin dalla nascita, per evolverci, siamo portati ad apprendere continuamente nuove abilità e saperi, è nella nostra natura.
Durante l’estate tra la seconda e la terza elementare decido che dovevamo prendere in mano la situazione per aiutare Linda, consapevole che non potevo farlo da sola: io sono la sua mamma ed entrano in campo questioni affettive troppo grosse, è un po’ come a lavoro: sempre meglio separare gli affari dalla famiglia!
Ripenso ad un piccolo corso introduttivo fatto qualche tempo fa su un metodo di studio molto interessante: “IL METODO FEUERSTEIN”. Si tratta di un percorso molto particolare che viene fatto fare per “IMPARARE AD IMPARARE”.
Viene proposto ai bambini con disturbi dell’apprendimento, ma non solo, a chiunque abbia la necessità di trovare altri percorsi cognitivi a qualsiasi età, partendo dal concetto fondamentale che il cervello è “plastico” e può essere riorganizzato.
So che una mia amica ha seguito tutto il corso, così la contatto e Linda a settembre inizia questo cammino. Fa cose che non sembrano direttamente legate alla scuola, tutt’altro, d’altronde non è un supporto ai compiti, ma io sono fortemente fiduciosa che tutto questo le possa servire e così è stato. Le insegnanti hanno confermato che moltissime delle difficoltà che presentava a scuola sono state superate, che Linda è molto più sicura di sé e soprattutto è più organizzata, sa come affrontare e organizzare il lavoro, cosa che prima, invece, la metteva seriamente in difficoltà.
Oltre ai risultati, una delle cose migliori è stata che Linda non ha sentito queste ore passate con Alessandra come un peso, ha percepito da subito che quello che facevano le era di aiuto, si è accorta da sola dei cambiamenti e il suo senso di autostima è cresciuto di conseguenza.
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